emozioni negative Archivi - Elena Ferrari Rinascere donna Sat, 13 Apr 2019 17:02:09 +0000 it-IT hourly 1 https://mentallifting.com/wp-content/uploads/2022/05/cropped-favicon-32x32.png emozioni negative Archivi - Elena Ferrari 32 32 207833118 Disturbi alimentari: binge eating. Come riconoscerlo? https://mentallifting.com/disturbi-alimentari-binge-eating-come-riconoscerlo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=disturbi-alimentari-binge-eating-come-riconoscerlo https://mentallifting.com/disturbi-alimentari-binge-eating-come-riconoscerlo/#respond Thu, 10 Jan 2019 13:34:25 +0000 https://mentallifting.com/?p=3125 Se si spinge lo sguardo a ritroso nella storia dell’uomo, il mangiare si situa all’alba della civiltà. Narra la leggenda della fondazione di Roma, che Rea Silvia ebbe due gemelli dal dio Marte. Sapendo quanto sia stupido lasciare in vita i figli dopo averne ucciso i padri, Amulio pensò di fare annegare i due gemelli nel...

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Se si spinge lo sguardo a ritroso nella storia dell’uomo, il mangiare si situa all’alba della civiltà.

Narra la leggenda della fondazione di Roma, che Rea Silvia ebbe due gemelli dal dio Marte. Sapendo quanto sia stupido lasciare in vita i figli dopo averne ucciso i padri, Amulio pensò di fare annegare i due gemelli nel Tevere, per evitare che da adulti potessero rivendicare il trono che lui usurpava. I figli di Rea vennero allattati da una leggendaria lupa (la Lupa Capitolina, che abitava l’antro lupercale presso il colle Palatino) e fondarono più tardi la città di Roma. La leggenda pone il singolare allattamento di Romolo e Remo all’origine della civiltà romana e fa del loro mangiare la vicenda fondante di un’intera civiltà.

In Giappone la dea shintoista Ukemochi è una dea delle origini ed è espressamente la dea del Nutrimento.
Ovviamente beneamata da tutto ciò che vive e cresce, destava l’invidia degli altri dei. A causa di un tranello venne decapitata ma il suo corpo si fece tutt’uno con la terra e donò di che nutrirsi all’umanità.

Fin dalle origini, mangiare è un’operazione più che biologica: impronta l’affettività e le modalità di relazione, la nascita della coscienza e la ricerca di conoscenza; è operazione archetipica che attiene alla crescita del corpo e all’evoluzione della psiche.

Poiché copre un’area simbolica tanto ampia, le sue caratterizzazioni non investono solo il comportamento alimentare, ma quello più ampio dei rapporti con le energie che sgorgano dall’inconscio e che sono proiettate sulla realtà esterna.

Mangiare” è qualcosa di più che ingoiare e ingerire; è un rifornirsi di principi vitali non solo fisici, ma anche psichici ed esistenziali; è un attingere alle sorgenti inconsce.

Disturbi del comportamento alimentare

Si parla di disturbi del comportamento alimentare (DCA) quando vi è un’ alterazione delle abitudini alimentari e un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo. Chiunque potrebbe soffrirne. I disturbi alimentari non discriminano per sesso, età o origine etnica. Possono essere riscontrati in entrambi i sessi, in tutti i gruppi di età, e in una grande varietà di ambienti etnici e culturali in tutto il mondo. Tuttavia, esistono gruppi che presentano un maggiore rischio di sviluppare disturbi alimentari.

Come riconoscere i disturbi alimentari

I comportamenti tipici di una persona che soffre di un Disturbo del Comportamento Alimentare sono:digiuno, restrizione dell’alimentazione, crisi bulimiche (l’ingestione una notevole quantità di cibo in un breve lasso di tempo accompagnata dalla sensazione di perdere il controllo, ovvero non riuscire a controllare cosa e quanto si mangia), vomito autoindotto, assunzione impropria di lassativi e/o diuretici al fine di contrastare l’aumento ponderale, intensa attività fisica finalizzata alla perdita di peso. Alcune persone possono ricorrere ad uno o più di questi comportamenti, ma ciò non vuol dire necessariamente che esse soffrano di un disturbo alimentare.

Soffrire di un disturbo alimentare sconvolge la vita di una persona; sembra che tutto ruoti attorno al cibo e alla paura di ingrassare. Cose che prima sembravano banali ora diventano difficili se non impossibili e motivo di forte ansia, come andare in pizzeria o al ristorante con gli amici o partecipare ad un compleanno o ad un matrimonio.

Spesso i pensieri sul cibo assillano la persona anche quando non è a tavola, ad esempio a scuola o sul lavoro terminare un compito diventa difficilissimo perché sembra che ci sia posto solo per i pensieri su cosa si “debba” mangiare, sulla paura di ingrassare o di avere un’abbuffata.

Una caratteristica quasi sempre presente in chi soffre di un disturbo alimentare è l’alterazione della propria immagine corporea che può giungere a configurarsi in un vero e proprio disturbo. La percezione che la persona ha del proprio aspetto, ovvero il modo in cui nella sua mente si è formata l’idea del suo corpo e delle sue forme, sembra influenzare la sua vita più della propria immagine reale.

Spesso il disturbo alimentare è associato ad altre patologie psichiatriche, in particolare la depressione, ma anche i disturbi d’ansia, l’abuso di alcool o di sostanze, il disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi di personalità. Possono essere presenti comportamenti autoaggressivi, come atti autolesionistici (ad esempio graffiarsi o tagliarsi fino a procurarsi delle piccole ferite, bruciarsi parti del corpo) e tentativi di suicidio.

Binge Eating Disorder: Disturbo da Alimentazione Incontrollata

Il disturbo da alimentazione incontrollata, in inglese binge eating disorder (BED), è uno dei problemi alimentari più diffuso. Come ogni altro disturbo psicologico, la sua gravità può essere variabile, per questo a livelli lievi si tende spesso a non riconoscerlo o sottovalutarlo.

La persona che soffre di alimentazione incontrollata presenta episodi di abbuffata ovvero mangiare troppo (una quantità eccessiva rispetto a quello che farebbe un’altra persona della stessa età, sesso e costituzione) in un certo arco di tempo e sperimentare una sorta di perdita di controllo durante queste abbuffate, come la sensazione di non riuscire a fermarsi o di non capire quanto si sta mangiando.

Gli episodi di alimentazione incontrollata possono presentare anche altre caratteristiche, che non tutti i soggetti condividono: come il fatto di mangiare molto in fretta, mangiare finchè non ci si sente sazi, mangiare anche se non si ha fame, mangiare soli per evitare di far vedere agli altri le quantità di cibo o la tipologia di cibo che si sta mangiando, sentirsi in colpa o ancor più spesso vergognarsi di se stessi per non essersi riusciti a controllare e resistere all’impulso di mangiare.

L’alimentazione incontrollata non prevede la “compensazione”, ossia comportamenti mirati all’espulsione del cibo o la pratica di attività fisica per smaltire. Per questo motivo, le persone con alimentazione incontrollata tendono al sovrappeso e all’obesità, a seconda della gravità e della frequenza delle abbuffate.

Nel Binge Eating Disorder è possibile riscontrare una causa multifattoriale.

Queste persone spesso presentono una bassa autostima e hanno scarsa fiducia in sé, o sono persone perfezioniste. Possono essere impulsive, con la tendenza a vedere il mondo per estremi. Nella maggior parte dei casi hanno poca consapevolezza dei propri stati d’animo e delle emozioni che sperimentano, e spesso sono proprio questi bisogni emotivi non compresi a portare verso la ricerca di cibo come mezzo per colmare la sofferenza e riportare il benessere interiore. Il cibo infatti, specialmente dolci e alimenti calorici, favorisce la produzione di serotonina, agendo come un antidepressivo naturale.

Inoltre, come per gli altri problemi alimentari, la presenza di un ambiente familiare o la frequentazione di luoghi o ambienti in cui cibo, forme del corpo, magrezza e peso sono elementi enfatizzati e cui viene data molta attenzione, possono costituire fattori di rischio per l’alimentazione incontrollata.

Le persone che soffrono di alimentazione incontrollata, spesso tentano di mettersi a dieta (o iniziare un’attività fisica). Quest’idea di alimentazione sana solitamente sorge in testa dopo un episodi di abbuffata, quando è molto forte il senso di colpa e, appagati i sensi, ci si sente un po’ più energici e determinati a riparare.

Tuttavia la spinta motivazionale sostenuta da un’emozione momentanea non è sufficiente a mantenere la costanza nel buon proposito, e all’insorgenza di una nuova problematica (un evento che non si riesce a gestire, una situazione conflittuale, una mancata realizzazione) il principale pensiero e desiderio torna quello di porre fine a questa sofferenza interiore, tramite la via più “semplice” e disponibile, ovvero il consumo di cibo.

Il Binge insorge relativamente tardi, nell’età adulta, tra i 25 e 35 anni. Si può manifestare dopo un fallimento relazionale, o una crisi di identità ed ha alla base un senso di fallimento profondo.

Odio la mia vita, mi faccio schifo, non ne posso più, non ce la faccio, non vado bene in niente, tutti sono migliori di me, tutti sono più magri di me, il mio corpo è grasso e deforme, non so cosa fare, non merito niente, tanto lo so che non c’è niente da fare per me, sto male da morire, tanto lo so che non si può guarire, gli altri forse ma io no, Nessuno mi capisce. Beh tanto non sono così malata forse è solo frutto della mia immaginazione. Ma come si fa, come si fa”.

Ognuna racchiude in se un mondo di sofferenza e anche tanta paura.

    • Paura di essere qualcosa e paura di non essere nulla. Paura di mettersi in gioco e terrore di avere un aiuto vero e concreto.
    • Paura che porta a vergognarsi di se stessi per quello che si è e che si ha.
    • Paura di aprirsi profondamente.
    • Paura di tentare e tentare l’ennesimo percorso di cura.
    • Paura di conoscersi davvero e anche paura di capire se stessi e ciò che ci ha portato a stare tanto male.
    • Paura del giudizio degli altri che a ben vedere forse è proprio il nostro su noi stessi.

Nei disturbi alimentari il corpo diventa il naturale contenitore di queste paure e dell’infinita sofferenza che si prova: che è il risultato di un mondo sommerso che spesso non ha un nome, non lo si vede e non lo si riconosce a causa dell’anestesia dei sintomi.

La verità è che si comprende realmente il significato della nostra malattia quando si procede in un difficile è meraviglioso viaggio: e cioè la conoscenza e la scoperta di se stessi, comprendere cosa ci fa male e cosa ci fa bene e nel contempo cosa ci ha fatto male nella nostra storia di vita. Un viaggio che ti porta a capire e a rielaborare che cosa ti ha portato inconsciamente a rifugiarti in una malattia così subdola che non fa altro che raccontarti bugie e che sposta ogni tipo di problema su cibo e corpo.

Ma questi due preziosi elementi della patologia hanno un immenso valore emotivo e non c’è nulla di razionale nelle sensazioni che si provano. Quel valore emotivo va capito e accolto nella sua essenza e nel nostro storico spesso traumatico. I tranelli della malattia sono sempre dietro l’angolo: un momento si pensa una cosa e un momento dopo l’esatto opposto.

Capire cosa realmente ci ha fatto soffrire e continua a farci soffrire, necessita di un serrato percorso di cura specializzato in disturbi alimentari, perché attraverso i sintomi cerchiamo disperatamente di comunicare delle cose, che spesso neanche noi sappiamo.
Con il silenzio gridiamo dolore. Con la rabbia e i conflitti la paura e una costante ricerca di conferme. Con lo sminuirsi sempre una costante negazione di sé.

Ogni sintomatologia ha un suo perché per esistere e descrive delle necessità personali.

Quando si sta tanto male si pensa essere impossibile guarire oppure si pensa che in fondo non si guarisce mai del tutto.
Spesso si avverte l’anoressia, la bulimia o il binge eating come fossero la nostra identità ed è anche per questo che si ha tanta paura di cambiare.
E da qui parte il grande viaggio e cioè la scoperta di chi realmente si è e perché quel rifugio sintomatico è stato così necessario nella vita di ognuno di noi.

I disturbi alimentari sono spesso accompagnati da altri sintomi come ad esempio la dipendenza affettiva (una fame infinita di risarcimento e di conferme), l’assunzione di alcool o altre sostanze che proprio come le sintomatologie riguardanti l’alimentazione ci portano lontani da noi. Lo sport che, se in origine è qualcosa di sano, diventa qualcosa di assolutamente autodistruttivo e malato… un ulteriore spostamento che quando non viene praticato anche esso provoca un infinito senso di colpa. Ognuno ha la sua storia e le sue cause e ognuno ha le proprie sintomatologie che non sono casuali ma direttamente proporzionale al proprio traumatico vissuto.

Cosa porta questi soggetti all’abbuffata?

A livello comportamentale e psicologico, esistono tre teorie principali sull’eziologia dell’abbuffata: la teoria psicosomatica (Bruch, 1973), la teoria dell’esternalità (Schachter, 1971) e la teoria della restrizione (Polivy & Herman, 1985).

La teoria psicosomatica si focalizza sull’emotional eating: mangiare in risposta ad emozioni negative come tristezza e sconforto. È stato dimostrato il contributo dell’emotional eating negli episodi di binge eating: soggetti con un BED riportano una tendenza significativamente maggiore a mangiare in risposta a stati emotivi negativi rispetto a soggetti di controllo (Pinaquy, Chabrol, Simon, Louvet, & Barbe, 2003).

In un’ottica olistica, potrebbe essere sensato considerare l’interazione tra queste tre teorie sull’eziologia delle abbuffate. È molto plausibile che un soggetto affamato dalla dieta, triste e che sente odore di cibo, si perda in un’abbuffata e che tutte e tre le condizioni abbiano influito, in modo diverso, sulla genesi dell’abbuffata.

Cosa fare per stare meglio?

Contattami: elena.ferrari@mentallifting.com.

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L'articolo Ansia: cos’è veramente e come liberarsene (anche senza farmaci) proviene da Elena Ferrari.

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Clara ha trentatre anni e arriva in lacrime in terapia. “Tre anni fa è morto mio padre e da allora sono disperata. Mi manca terribilmente. Sono sempre triste e depressa, a volte ho attacchi d’ansia. Soffro perché non sono stata la figlia che lui avrebbe desiderato. Non gli ho mai detto che gli volevo bene, e ora non posso più dirglielo.”

La psicoterapia è o dovrebbe essere il luogo in cui tutte le nostre convinzioni vengono meno: è necessario alla guarigione perché sono proprio quelle convinzioni a trattenere il dolore.

Clara, del tutto identificata nel ruolo di figlia addolorata, ripercorre le tappe del suo percorso: l’infanzia con un padre adorato, molto immaginato e poco frequentato, sempre assente e lontano per lavoro; un’adolescenza inquieta e ribelle, con eccessi e comportamenti al limite; una giovinezza fatta di nuove lontananze e fugaci tentativi di riavvicinamento presto falliti tra scontri e litigi. Un rapporto profondo di amore e odio per quel padre affascinante e difficile. Poi la sua malattia, il desiderio di vicinanza mai espresso appieno, e infine la morte proprio quando lei era all’estero. Da allora il dolore e l’ansia, in apparenza inarrestabili.

Ci sono dei passaggi psicologici che trasformano il dolore naturale in un’armatura mentale che si trascina per anni. Il dolore è naturale e passeggero. Tutto il resto lo costruiamo sopra noi, e può durare anni.

Non è il padre ciò di cui sente la mancanza: è la donna che non sta sviluppando. Ecco allora il compito: lasciar andare il padre per diventare donna. L’ansia è uno stato di agitazione psichica dovuto a una risposta abnorme a situazioni percepite come pericolose per il soggetto o per i suoi cari.

La risposta di allerta è immotivata rispetto alla reale pericolosità dell’evento, che può essere anche soltanto immaginato o anticipato nella propria mente. Spesso il soggetto non riesce a riferire la propria ansia a una specifica causa. Essa si può manifestare in diverse forme che vanno da un semplice stato di tensione psichica agli attacchi di panico, da un disturbo ossessivo-compulsivo alle fobie.

Nel fenomeno dell’ansia convivono due poli in apparenza opposti: uno stato di allerta e un’energia che vuole esprimersi. A volte, questi due aspetti si esprimono insieme, in altri casi uno prevale rispetto all’altro. Ma sono, in ultima istanza, inseparabili.

Quando l’ansia esprime perlopiù uno stato di allerta, vuol dire che qualcosa viene sentito come pericoloso per la persona – sia in senso fisico che psichico –. Può trattarsi di eventi reali (per esempio, l’attesa di un esame diagnostico, un importante incontro di lavoro, il ritardo di un figlio nel ritornare a casa), ma anche solo immaginati o anticipati mentalmente (per esempio, pensare a ciò che potrebbe succedere in un viaggio ancora da fare).

L’intensità dell’ansia in questi casi è fortemente influenzata dall’importanza che viene data a tali eventi e può quindi variare fortemente da persona a persona: uno stesso evento può produrre uno stato di gestibile inquietudine, oppure diventare emotivamente insostenibile.

Matrice comune resta comunque un eccesso di preoccupazione rispetto alla reale portata della situazione. Lo stato di allerta può essere riferito anche a pericoli interiori: segnala che c’è qualcosa in quel contesto, rapporto o stile di vita, che è dannoso per la vera natura della persona che lo sta vivendo.

Quando l’ansia esprime un’energia che vuole esprimersi, vuol dire che da un po’ di tempo il soggetto non sta vivendo parti autentiche di sé, che restano compresse fino a una soglia oltre la quale scatta l’allarme e al contempo la “tracimazione”.

L’ansia raccoglie nella stessa sintomatologia lo sfogo di accumuli energetici di differente natura: sessuale, fisica, creativa, spirituale, tutti accomunati dalla difficoltà a lasciar fluire liberamente la forza vitale e il talento personale, inteso come la propria unicità. Infatti, dietro ai vari disturbi d’ansia c’è la sensazione di non riuscire a “dire la mia”, a “essere me stesso”, a fare le cose “a modo mio”.

Allo stesso modo l’ ansia si presenta ogni volta che un momento di crescita o una trasformazione necessaria vengono ostacolate e si configura così come energia evolutiva, come tensione a un’autonomia che chiede con forza di manifestarsi.

Spesso l’ansia si esprime anche con manifestazioni corporee transitorie che scompaiono con il passare della crisi (tachicardia, tensione muscolare ecc.). In altri casi l’ ansia sfoga la propria energia – e i simboli che essa porta con sé – nel corpo, producendo disturbi fisici.

Le persone più a rischio sono:

  • Bambini e adolescenti privi di riferimenti familiari o sociali validi e costanti.
  • Adolescenti e giovani carichi di aspettative genitoriali su studio e lavoro.
  • Persone sulla soglia di una scelta importante che rompe lo “stato delle cose” (per esempio,
    divorzio) e che non sentono del tutto legittima.
  • Persone in situazioni “senza via d’uscita”.
  • Persone che vivono una routine in cui non sono presenti passioni autentiche.
  • Persone che praticano scarsa attività fisica e sessuale.
Come combattere l’ansia nella pratica

In genere, di fronte ad un problema prenderne consapevolezza è già una conquista. La strada per affrontarli a volte, soprattutto in situazioni di acuità, diventa tortuoso.

Rovistando tra diversi articoli ho trovato un libro interessante “La rana bollita. Una storia d’ansia, attacchi di panico e cambiamentoche parla di esperienze condivise della quali sono state estrapolati alcuni accorgimenti per affrontare in modo pratico queste situazioni, sebbene un sostegno ci voglia sempre. Sono esperienze di cui si può farne buon uso se le si apprezza.

1) Fare attività fisica

Molte ricerche scientifiche dimostrano i benefici dell’esercizio fisico nel trattamento dell’ansia.
Ci sono molti motivi per cui fare un po’ di movimento è un vero toccasana per chi soffre di ansia.
Le endorfine rilasciate naturalmente dal cervello durante l’attività fisica ci fanno sentire molto bene e aiutano a regolare l’umore. Un esercizio fisico stancante aiuta a dormire meglio (a patto di non farlo la sera, perché l’effetto potrebbe essere opposto). Inoltre impegnarsi in modo regolare a raggiungere qualche piccolo obiettivo è un toccasana per il nostro senso di autoefficacia.

La cosa migliore è trovare una o più attività di tuo gradimento e che puoi fare senza complicarti troppo la vita. Se poi riesci ad andare all’aperto, in un parco o qualcosa di simile, sfrutti anche gli effetti benefici del contatto con la natura.

2) Non chiudersi in casa

Noi ansiosi abbiamo una zona di comfort ristretta. Certe volte così ristretta che può essere racchiusa tra quattro mura. Si può arrivare al punto che uscire di casa è difficile, la spesa al supermercato una mission impossibile, una birra con gli amici un calvario, una passeggiata al parco un ostacolo inaffrontabile.

Non parliamo poi di viaggiare, di esplorare, di affrontare persone e situazioni sconosciute. Ecco: non assecondare mai questa tendenza.

Non ti sto dicendo di sfidare la tua ansia, di fare finta che non esista e di iscriverti a un corso di paracadutismo o di fare il giro del mondo in solitaria. Ho idea che le terapie d’urto non funzionino, altrimenti sarebbe troppo facile. Ti sto dicendo però di non adagiarti, di non assecondarla troppo, di non cedere alla tentazione di chiuderti dentro un bozzolo confortevole.

Non rinunciare alle cose che ti piacciono per paura. Ci sono giorni in cui non c’è verso. Hai bisogno di stare rintanato, di sentirti al sicuro in ambienti e situazioni che conosci perfettamente. Giorni in cui il circo dei sintomi dell’ansia è così forte – con il suo balletto di vertigini, nausea, tremori – che il mondo là fuori proprio non lo puoi affrontare.

Ma se impari ad ascoltarti attentamente riconoscerai quando dentro di te si accende un piccolo barlume. Quando tutto sommato vorresti accettare quell’invito a cena, o prendere la macchina e andare al mare da sola, o infilarti un paio di scarpe e andare a correre. Asseconda questi momenti e provaci, provaci sempre.

Dentro di te c’è sempre una forza, per piccola che sia, che ti spinge a prendere in mano la situazione e ad agire anche nell’enorme disagio e malessere che stai provando. Ecco quella fiammella va sempre tenuta accesa, e quando la senti, allora vai, buttati, non rinunciare. È un lavoro che puoi fare solo tu. È un sottile gioco di equilibrio di cui decidi tu le regole. No, oggi rinuncio, non me la sento. Ok, oggi vado, faccio fatica ma vado.

3) Trovare il modo migliore per cominciare la giornata

Per molte persone che soffrono di ansia il momento peggiore è il mattino appena svegli.

Riprendi contatto con la realtà dopo una notte di sonno e subito scattano sensazioni di disagio, pensieri foschi, malessere, qualche sintomo qua e là.
Voglia di alzarsi zero e panico totale al solo pensiero di affrontare la giornata. Ogni cosa sembra un ostacolo insormontabile.

Probabilmente questo dipende dal fatto che al mattino nel nostro corpo aumenta la produzione del cortisolo – detto anche ormone dello stress (cicli circadiani).

Intanto già sapere che si tratta di un meccanismo fisiologico un po’ aiuta. Invece di pensare:aiuto, perché mi sento così male stamattina, guarda qui ho già la tachicardia, non ce la farò mai ad affrontare la giornata, possiamo rivolgere a noi stessi qualche pensiero rassicurante del tipo: ok lo so, il mattino è il momento peggiore, è tutta colpa del cortisolo… ora mi alzo, comincio a fare le mie cose e piano piano andrà meglio.

Io traggo sempre grande beneficio da questo tipo di dialogo interiore. È un modo per rafforzare la nostra capacità di rassicurarci da soli. Poi è fondamentale curare al massimo la routine del mattino in modo da rendere quanto più possibile dolce, gradevole, avvolgente, la prima ora della nostra giornata.

Ognuno di noi può trovare la sua routine ideale, facendo vari tentativi. Ecco alcune idee:

  • svegliati con anticipo in modo da potere fare tutto con calma senza essere assillato fin da subito dai vari impegni
  • rendi dolce il risveglio: prova con la tua musica preferita, con un simulatore d’alba, con dei suoni zen
  • in inverno tieni a portata di mano le pantofole e una vestaglia in modo da poterti avvolgere in qualcosa di confortevole e caldo appena sceso dal letto
  • fai una buona colazione, con qualcosa che ti piace molto e che ti dia il giusto apporto energetico
  • dedica almeno 20 minuti o mezz’ora a una attività rilassante che assorba la tua attenzione: leggi un romanzo, guarda la tua serie preferita in tv, disegna, dipingi, suona uno strumento, lavora a maglia…
  • scrivi il diario della gratitudine
  • fai un po’ di ginnastica (come si diceva prima)
  • spendi qualche minuto a curare le piante (se sono in balcone ancora meglio così ti esponi alla luce del mattino)

Queste sono solo idee. La routine del mattino è una cosa molto personale. Il principio è questo: fai in modo di regalare a te stesso il meglio della tua giornata nella prima ora dopo esserti svegliato perché è questo il momento in cui ne hai più bisogno.

4) Non contrastare il panico

Questo è difficile da spiegare, ma ci provo.

Diciamo che ti sta salendo il panico. Parlo proprio di un bell’attacco in piena regola. Non tutte le persone che soffrono di ansia hanno anche attacchi di panico. La reazione normale è cercare di allontanare il panico al più presto. Dentro di te dici: no no cavoli, non adesso, vai via immediatamente.

Non è una buona strategia.

Il panico è subdolo: si nutre della tua paura. Più lo temi, più ti cerca. La soluzione, per quanto possa essere contro intuitiva, è provare ad accoglierlo senza opporre resistenza. Tanto sai che passa. Il punto è aspettare. Lasciare che la paura ti attraversi, e che se ne vada, così come è arrivata. È come un’onda.

Prova a pensare di essere in un mare agitato. Le onde e la corrente ti rendono difficile nuotare. Ti sforzi, lotti per contrastare la forza del mare, ma più ti agiti più la situazione peggiora. Allora prova a cambiare tattica. Smetti di andare contro corrente. Abbandonati. Fai il morto e galleggia nella tempesta. Lascia che le onde ti portino su e giù. Tanto sai che prima o poi si placherà.

5) Praticare la mindfulness

Si dice che le persone depresse vivono nel passato e quelle ansiose nel futuro. Per quanto riguarda la depressione non saprei, non ho esperienza diretta. Per quanto riguarda l’ansia invece direi che è vero, verissimo.

L’ansia altro non è che l’anticipazione di un evento negativo che potrebbe verificarsi. Il nostro cervello è programmato così. Anticipa i pericoli e per salvarci le chiappe attiva un sistema di risposta che si chiama combatti o fuggi. È un meccanismo sano, essenziale alla sopravvivenza, che però nei disturbi d’ansia non funziona più bene e si attiva anche in assenza di pericoli.

La mentalità tipica dell’ansioso è che mentre è occupato in una attività sta già pensando a cosa dovrà fare dopo preoccupandosi di tutto quello che potrebbe andare storto.

Imparare a stare nel presente, a vivere qui e ora è una fatica per chi soffre di ansia. Eppure quando ci riesci i benefici sono immediati ed evidenti. Per un attimo si solleva il velo delle preoccupazioni inutili e ciò che resta è solo la realtà del momento presente – che nella gran parte dei casi non è affatto minacciosa o pericolosa.

Per imparare a stare nel presente si può fare quella pratica di mindfulness .

Ho sperimentato però che nei periodi in cui l’ansia è particolarmente acuta la meditazione diventa più difficile. Non è facile imparare a stare con quel che c’è quando la mente è molto agitata e in preda alle preoccupazioni.

Per questo bisogna essere molto gentili con se stessi, non forzare la mano, non pretendere.

Se stare seduti a meditare diventa troppo difficile, allora possiamo rivolgerci alle pratiche informali. Anche solo ricordare di essere presenti, prendere tre respiri, concentrarsi nell’osservazione di un oggetto, una persona, un paesaggio. Sono come piccole gocce di consapevolezza integrate nel quotidiano che a poco a poco ci aiutano a stare sempre più presente.

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