Ri-Nascere mamma Archivi - Elena Ferrari Rinascere donna Mon, 21 Oct 2019 14:16:33 +0000 it-IT hourly 1 https://mentallifting.com/wp-content/uploads/2022/05/cropped-favicon-32x32.png Ri-Nascere mamma Archivi - Elena Ferrari 32 32 207833118 Disturbo o difficoltà di apprendimento? La distinzione è d’obbligo https://mentallifting.com/disturbo-o-difficolta-di-apprendimento-la-distinzione-e-dobbligo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=disturbo-o-difficolta-di-apprendimento-la-distinzione-e-dobbligo https://mentallifting.com/disturbo-o-difficolta-di-apprendimento-la-distinzione-e-dobbligo/#respond Mon, 21 Oct 2019 14:16:32 +0000 https://mentallifting.com/?p=3745 I disturbi che riguardano la capacità di apprendimento dei nostri bambini sono un problema molto sentito dai genitori e, spesso, vissuto con forte ansia per il loro normale sviluppo. Questi disturbi implicano l’incapacità di acquisire, memorizzare o utilizzare specifiche abilità o informazioni, a causa di un calo di attenzione, di memoria o per un rallentato...

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I disturbi che riguardano la capacità di apprendimento dei nostri bambini sono un problema molto sentito dai genitori e, spesso, vissuto con forte ansia per il loro normale sviluppo.

Questi disturbi implicano l’incapacità di acquisire, memorizzare o utilizzare specifiche abilità o informazioni, a causa di un calo di attenzione, di memoria o per un rallentato ragionamento che influiscono sul rendimento scolastico.

Facciamo chiarezza

Le difficoltà di apprendimento, in assenza di patologie conclamate da una diagnosi, riguardano bambini con un’intelligenza nella norma, che non hanno problemi sensoriali (vista, udito) o neurologici e che hanno avuto adeguate possibilità di familiarizzare con la lingua scritta.

Sono disturbi su base neurobiologica, che dipendono dal funzionamento alterato delle regioni cerebrali che sono coinvolte nei processi di apprendimento. Per lo più sono di natura genetica e, spesso, i familiari dei bambini con tali disturbi hanno presentato, o presentano, problemi simili.

Quindi è importante capire che non dipendono dall’impegno o dall’esercizio, né da traumi infantili, né dalla volontà del bambino.

Come si distinguono i disturbi patologici dalle difficoltà di apprendimento?

Il disturbo patologico c’è fin dalla nascita ed è persistente. Per distinguere con chiarezza il disturbo dalla difficoltà dobbiamo valutare la resistenza ai trattamenti: parliamo di difficoltà quando, strategie di insegnamento adeguate, migliorano significativamente la capacità di apprendere, mentre siamo in presenza di un disturbo quando persiste una condizione non consona all’età. 

Troppe diagnosi affrettate

Il fatto che sia aumentato il numero di diagnosi relative ai disturbi dell’apprendimento è da una parte un segno positivo, perché indica una conoscenza più profonda e una maggiore attenzione al problema.

D’altra parte, però, si rischia di fare confusione e alimentare le paure dei genitori senza motivi. Bisogna invece fare un’importante distinzione e capire che da un lato ci sono i disturbi veri e propri, dall’altro ci sono difficoltà legate al processo evolutivo del bambino. In quest’ultimo caso si tratta non di psicopatologie diagnosticabili, ma di fatiche e difficoltà su cui si può intervenire per tempo.

I genitori devono essere quindi aiutati, dagli esperti e dagli insegnanti, a non confondere sintomi che potrebbero essere simili, ma che hanno cause, conseguenze e bisogni del tutto diversi. Molto spesso ci troviamo difronte a bambini con difficoltà di apprendimento che possono migliorare semplicemente cambiando metodo di insegnamento. Ed è qui che la scuola diventa protagonista, adeguando le metodologie didattiche e formando gli insegnanti.

Quali sono i passi giusti da fare?

Il primo passo del genitore non è andare subito dal neuropsichiatra, ma valutare se il bambino modifica le proprie strategie al modificare delle strategie di insegnamento a scuola. È dunque necessario lavorare con il bambino sin da quando è piccolo, perché il suo cervello è molto recettivo e pronto al cambiamento se adeguatamente stimolato.

Hai bisogno di un consiglio? Vuoi prendere un appuntamento? Contattami alla mail: elena.ferrari@mentallifting.com.

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Scuola, è tempo di organizzare il rientro https://mentallifting.com/scuola-e-tempo-di-organizzare-il-rientro/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=scuola-e-tempo-di-organizzare-il-rientro https://mentallifting.com/scuola-e-tempo-di-organizzare-il-rientro/#respond Thu, 29 Aug 2019 07:46:47 +0000 https://mentallifting.com/?p=3697 Siamo appena rientrati dalle vacanze e già dobbiamo organizzare il ritorno a scuola dei nostri figli. Se per noi è faticoso, per loro potrà esserlo molto di più, perché recuperare i ritmi scolastici non è così immediato. Quindi, dobbiamo fare in modo che il primo giorno di scuola venga vissuto dai nostri figli con serenità,...

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Siamo appena rientrati dalle vacanze e già dobbiamo organizzare il ritorno a scuola dei nostri figli. Se per noi è faticoso, per loro potrà esserlo molto di più, perché recuperare i ritmi scolastici non è così immediato. Quindi, dobbiamo fare in modo che il primo giorno di scuola venga vissuto dai nostri figli con serenità, come la ripresa di un impegno importante per la loro crescita.

Consigli per affrontare il rientro a scuola

Innanzitutto è bene mostrarsi entusiasti. Se il bambino vede i genitori preoccupati e seccati per l’inizio della scuola penserà di avere un valido motivo per sentirsi preoccupato anche lui.

È importante che il bambino si prepari gradualmente agli orari della scuola. Si sa che in estate, complici il divertimento e le lunghe giornate, gli orari del sonno non vengono mai rispettati: vanno a letto più tardi del solito e si svegliano altrettanto tardi. Ma se non recuperiamo per tempo un orario consono alle esigenze scolastiche, rischiamo di trasformare i primi giorni di scuola in un incubo.

Noi mamme si sa ci facciamo prendere da mille ansie, soprattutto quando ci sono dei cambiamenti in corso, ad esempio il passaggio dalla scuola materna alla scuola elementare, l’ingresso al nido o all’asilo. Dobbiamo imparare a mettere da parte il nostro stress e concentrarci su quello che serve davvero ai nostri figli, ovvero equilibrio e rassicurazioni.

Per dare loro una carica in più ricordatevi di sottolineare che, la scuola, non è solo compiti, impegno e regole, ma anche il luogo in cui si incontrano tanti coetanei con cui diventare buoni amici.

Come preparare i bambini al primo giorno di scuola

primo giorno di scuola

Il primo giorno di scuola non si scorda mai, è quello che viene immortalato in una foto che compare in tutti gli album di nonni e genitori. È un passaggio importante, si inizia davvero a diventare grandi. Molti genitori si chiedono come far vivere al meglio questo giorno ai lori figli, senza rendersi conto che molto spesso i bambini vivono questo inizio più serenamente di quanto si possa pensare.

Vi consiglio di parlare al bambino, raccontando nei dettagli cosa succederà e perché è un momento importante della sua vita, per aiutarlo ad affrontare il tutto con più facilità. Fategli capire che si dovrà impegnare ma senza pretendere troppo sin da subito. Potrebbe comportare uno stress, che in più dei casi si tradurrebbe in un esaurimento nervoso prima del previsto. L’ansia da prestazione influisce negativamente, e visti i molteplici cambiamenti, è meglio eliminarla sin da subito.

Sembra un piccolo accorgimento, eppure porta quasi sempre a risultati sorprendenti!                                                                           

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Il mio bambino va in vacanza da solo https://mentallifting.com/il-mio-bambino-va-in-vacanza-da-solo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-mio-bambino-va-in-vacanza-da-solo https://mentallifting.com/il-mio-bambino-va-in-vacanza-da-solo/#respond Mon, 08 Jul 2019 07:42:04 +0000 https://mentallifting.com/?p=3653 La prima vacanza del bambino senza genitori è un momento importante per tutta la famiglia: da un lato il piccolo affronta per la prima volta un’esperienza in totale autonomia, dall’altro i genitori vivono, per la prima volta il distacco dal bambino. Un bambino che parte da solo sviluppa una maggiore autonomia, perché è costretto ad...

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La prima vacanza del bambino senza genitori è un momento importante per tutta la famiglia: da un lato il piccolo affronta per la prima volta un’esperienza in totale autonomia, dall’altro i genitori vivono, per la prima volta il distacco dal bambino.

Un bambino che parte da solo sviluppa una maggiore autonomia, perché è costretto ad imparare a cavarsela, sia nella gestione delle cose pratiche, sia nella gestione delle proprie emozioni. In estate si ampliano le possibilità di fare esperienze che permettono al bambino di entrare in contatto con nuove realtà: campus estivi, campeggi, gite e colonie.

Questi allontanamenti sono esperienze e tappe importanti e positive ma, se gestite male, potrebbero addirittura rappresentare un ostacolo all’acquisizione di indipendenza e soprattutto di autonomia. Per affrontare al meglio la prima vacanza da solo del bambino, ecco i miei consigli.

Gestire il distacco

È la cosa più difficile per entrambi e dipende da come il bambino l’ha sperimentato in famiglia sin dall’infanzia. Qui gioca un ruolo importante il genitore che deve dare fiducia, ascoltare i suoi bisogni, i suoi desideri e le sue esigenze. Per il bambino esplorare il mondo che lo circonda è una tappa molto importante, per se stesso e anche in relazione agli altri. È fondamentale che i genitori siano pronti a vivere il distacco in modo sano: se il bambino avverte delle tensioni è probabile che di riflesso vivrà il viaggio come una costrizione, qualcosa di negativo di cui avere paura.

Preparate in anticipo il vostro bambino, è importante descrivere e parlare dell’esperienza che si appresterà a vivere e ricordategli che ci sarà sempre la possibilità di comunicare con i genitori in caso di necessità.

Una delle difficoltà che vi troverete ad affrontare sarà quella di scegliere l’esperienza più opportuna e meno traumatica per vostro figlio. Un elemento importante è quello della scelta del gruppo a cui partecipare: deve essere omogeneo per età e competenze, troppa differenza d’età potrebbe creare non pochi problemi nel bambino.

bambino in vacanza da solo

Le proposte sono tante, quale scegliere?

Alcune delle esperienze maggiormente utili per sperimentare la prima vacanza da solo, sono le colonie estive e i campeggi scout. Entrambi presuppongono che i piccoli vengano suddivisi in gruppi omogenei per età e che vengano loro assegnati dei compiti per raggiungere degli obiettivi comuni. Questo aspetto è particolarmente importante per il bambino, che sperimenterà il concetto di aggregazione in un gruppo di pari. Inoltre, un’organizzazione ben strutturata gli permetterà di sentirsi protetto anche lontano dall’ambiente familiare.

Quali sono i vantaggi per il bambino?

Per i più grandi indubbiamente è evidente il vantaggio della convivenza con i coetanei, della scoperta di un posto nuovo, lontano da quelli abituali, della sperimentazione di una propria autonomia e indipendenza dai genitori. Oltre che all’opportunità di apprendere una lingua straniera, scoprire aspetti della natura, imparare uno sport ecc.

Per i più piccoli il vantaggio è essenzialmente quello di proseguire sulla strada della sperimentazione, della manipolazione, della creatività, con il sostegno di educatori formati e grazie alla partecipazione ad attività libere, preferibilmente all’aria aperta.

Inoltre non è da sottovalutare che il bambino che partecipa a un campo estivo non trascorrerà tutto il giorno davanti alla televisione o ai videogames, con grande benefico per la sua salute.

Tuttavia è bene non forzare il bambino a partire per andare qualche giorno lontano da casa: si tratta pur sempre di una vacanza e deve essere vissuta con entusiasmo e un pizzico di avventura. A differenza, infatti, di quanto si potrebbe pensare, non esiste un’età in cui un bimbo possa o meno partire senza mamma e papà, esiste, piuttosto, un’età “psicologica”, che solo i genitori conoscono. Forzarlo ad affrontare una simile prova, sarebbe sbagliato e controproducente. Meglio evitare e aspettare se ci si rende conto che l’esperienza è vissuta dal bambino in modo eccessivamente conflittuale.

Hai bisogno di un consiglio? Vuoi prendere un appuntamento? Contattami alla mail: elena.ferrari@mentallifting.com.

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Bambini e vacanze scolastiche: istruzioni per l’uso https://mentallifting.com/bambini-e-vacanze-scolastiche-istruzioni-per-luso/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=bambini-e-vacanze-scolastiche-istruzioni-per-luso https://mentallifting.com/bambini-e-vacanze-scolastiche-istruzioni-per-luso/#respond Mon, 10 Jun 2019 07:22:31 +0000 https://mentallifting.com/?p=3618 Sono appena iniziate le vacanze estive e per molti genitori, ancora impegnati nel lavoro, scatta l’operazione “Come organizzare le vacanze dei bambini”. In parecchi casi, a dire il vero, l’operazione è partita mesi prima, mobilitando baby sitter, nonni o, se sono più grandi, iscrivendo i ragazzi ai campi estivi. Sembra un paradosso ma, quello che...

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Sono appena iniziate le vacanze estive e per molti genitori, ancora impegnati nel lavoro, scatta l’operazione “Come organizzare le vacanze dei bambini”. In parecchi casi, a dire il vero, l’operazione è partita mesi prima, mobilitando baby sitter, nonni o, se sono più grandi, iscrivendo i ragazzi ai campi estivi. Sembra un paradosso ma, quello che per i nostri figli è il momento più entusiasmante, atteso per mesi, per noi genitori può diventare un vero e proprio incubo. Che fare?

Come gestire al meglio le vacanze dei bambini?

Innanzitutto niente panico, fate un respiro profondo e tornate con la memoria a quando eravamo piccoli e non vedevamo l’ora di lasciare, per ben tre mesi, la scuola. Essere bambini significava, e significa ancora oggi, avere a disposizione tanto libero, stare con gli amici tutto il giorno, dare sfogo alla creatività e dedicarsi a giochi e divertimenti, senza più orari. Quindi, cari genitori, smettete per un po’ di essere perfetti organizzatori e date sfogo alla creatività. È vero che in molte famiglie si lavora in due e che perciò è difficile gestire i figli, ma è anche vero che, se abbiamo dei nonni o una persona di fiducia, possiamo tranquillamente affidarli a loro.

Quali consigli per i genitori con poco tempo libero?

Il primo consiglio che mi sento di darvi è lasciateli liberi. Liberi di inventarsi giochi, di annoiarsi, di stare all’aria aperta per fare cose che durante il resto dell’anno non possono fare. Oggi, e per 9 mesi, la maggior parte dei nostri bambini entra a scuola alle 8.30 e ne esce alle 16.30 e, per tutto il tempo, devono stare attenti, impegnarsi, fare compiti e studiare per tante ore al giorno.

Almeno durante le vacanze estive è giusto lasciarli liberi da impegni e dar loro la possibilità di sfogarsi, giocare, divertirsi con gli amici.Trascorrere finalmente del tempo libero dagli impegni scolastici e lavorativi con i propri figli può essere molto piacevole per mamma e papà, ma anche impegnativo e stressante. Quindi, lasciatevi aiutare e fate scelte che soddisfino le vostre esigenze ma siano compatibili con i loro bisogni.

Che sia mare, montagna, lago o campagna, scegliete in base ai vostri gusti ma fate in modo che il tragitto sia il più possibile rilassante, e non fonte di nervosismo e stanchezza. Prediligete destinazioni che siano adatte all’età dei bambini, in cui sono solitamente presenti servizi e attività pensate per i piccoli viaggiatori.

La parola d’ordine è riposo

È importante rispettare i loro tempi, anche se sono più rallentati, e trasmettere calma e serenità. Può accadere che qualcosa non vada come stabilito o programmato. Meglio prendere le cose con tranquillità, senza agitarsi e litigare: anche gli imprevisti potranno diventare un’occasione per scoprire in noi nuove risorse.

Mettete da parte tablet, smartphone e videogiochi: sono tantissime le attività da fare insieme ai vostri figli all’aria aperta: siate creativi e proponete giochi di scoperta e movimento.

I bambini hanno bisogno della vostra presenza e di stare con voi, soprattutto se, durante l’anno vi vedono poco a causa del vostro lavoro. Quindi ritagliatevi momenti di divertimento e condivisione.

Ma, soprattutto, non fatevi prendere dall’ansia e godetevi questi momenti speciali: se voi siete sereni e felici lo sentono e lo saranno anche loro.

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Mamme divise a metà, tra lavoro e famiglia https://mentallifting.com/mamme-divise-a-meta-tra-lavoro-e-famiglia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=mamme-divise-a-meta-tra-lavoro-e-famiglia https://mentallifting.com/mamme-divise-a-meta-tra-lavoro-e-famiglia/#respond Tue, 28 May 2019 16:02:36 +0000 https://mentallifting.com/?p=3550 Molte mamme vivono con difficoltà il distacco, che invece può essere la prima esperienza di autonomia di nostro figlio. Combattute tra la voglia di portare avanti la propria attività e le esigenze dei figli, le mamme sono sempre alle prese con i sensi di colpa. Una vita di corsa e la paura di non essere...

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Molte mamme vivono con difficoltà il distacco, che invece può essere la prima esperienza di autonomia di nostro figlio.
Combattute tra la voglia di portare avanti la propria attività e le esigenze dei figli, le mamme sono sempre alle prese con i sensi di colpa. Una vita di corsa e la paura di non essere altezza, come mi raccontano molte donne che incontro in terapia. Scelte che ricadono, nella maggior parte dei casi, sulle madri.

È difficile per tutte ma, secondo me, lavorare è un diritto e soprattutto un dovere anche nei confronti dei nostri figli. È faticoso conciliare lavoro e famiglia, perché alla fine non smetti mai di lavorare, neanche a casa. Stringi i denti e vai. È tutta una corsa: bambini, scuola, lavoro, impegni sportivi, spesa, pulizie.

Mamme accomunate dalla sensazione di rincorrere il tempo

Una vita sempre di corsa, cercando di incastrare gli impegni di tutta la famiglia senza mai dimenticare niente. Ma senza aiuti non ci si riesce. I nonni, in primis, sono la salvezza di tante famiglie, ma molte donne devono ricorrere anche alle baby sitter che si aggiungono però alle numerose spese da sostenere.
Una donna che vuole realizzarsi anche fuori dalle mura domestiche deve rinunciare sicuramente a qualcosa. E i papà?

Un difficile equilibrio di ruoli

Oggi la stragrande maggioranza delle donne non si sente realizzata unicamente all’interno dei ruoli di moglie e mamma. Lavorare, indipendentemente dalla necessità economica di contribuire al bilancio familiare, è sempre più un bisogno esistenziale e un diritto, a mio parere, così come è sempre stato per gli uomini. Se siamo fortunate possiamo contare sulla solidarietà dei nostri compagni ma, spesso, non è così. Ecco allora la domanda che tutte ci facciamo “è possibile essere nello stesso tempo lavoratrici soddisfatte e madri presenti e affettuose?”.

Diamo un calcio ai sensi di colpa

Perché non stai a casa con me?” è la domanda trabocchetto che prima o poi arriva per tutte le mamme e non fa che alimentare il nostro senso di colpa. Certo non è facile lasciare per ore i nostri figli ma ricordiamoci che si può dare solo ciò che si sente dentro di sé. Se una donna è ansiosa, stressata, possessiva e insicura, trasmetterà ai figli altrettanta agitazione; se è serena, anche se stanca, infonderà loro altrettanta sicurezza a discapito di capricci e pretese. Inoltre, è ormai accertato, che i figli di genitori che lavorano crescono altrettanto bene degli altri. Anzi, la loro personalità, sempre che la separazione sia avvenuta in modo giusto, può uscire fortificata da questa esperienza.

I miei consigli per affrontare il conflitto

Accetta il distacco
La prima cosa da fare è accettare il distacco dentro di te. In questo modo imparerai a non sentirti indispensabile. Molte mamme nascondono dietro al senso di colpa un tentativo di sottrarsi, esse stesse, alla separazione dal figlio, con il risultato di aumentare la sofferenza di entrambi.

Parla del tuo lavoro
Se è in età per comprendere, motiva il tuo lavoro. Il bambino deve capire che il lavoro ci piace, ci gratifica, lo si considera un valore e, quindi, lo si fa volentieri. Sarà un esempio importante che per fargli intuire che nella vita è bello avere interessi e perseguirli.

Rassicuralo sul tuo amore
Il bambino ha bisogno di essere amato, se sentirà questo amore, qualunque cosa accada, lui saprà che non verrà mai rifiutato o abbandonato.

Allontanati con un sorriso
Quando usciamo per andare al lavoro, salutiamolo con gioia. Se lui si mette a piangere, niente panico. È inevitabile. La sensazione di sentirsi solo verrà presto sostituita dall’interesse di fare cose nuove.

E ricorda sempre che sei una donna prima ancora di una mamma, quindi trova tempo per te e per il tuo compagno, fa che non si senta escluso e, se serve, coinvolgilo nel suo ruolo di papà.

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Il ruolo dei genitori: come comportarsi con il nuovo arrivato? https://mentallifting.com/il-ruolo-dei-genitori-come-comportarsi-con-il-nuovo-arrivato/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-ruolo-dei-genitori-come-comportarsi-con-il-nuovo-arrivato https://mentallifting.com/il-ruolo-dei-genitori-come-comportarsi-con-il-nuovo-arrivato/#respond Sun, 09 Sep 2018 12:38:12 +0000 https://mentallifting.com/?p=3107 Affinché i processi di crescita dell’individuo possano attuarsi secondo il fisiologico sviluppo emozionale, è necessario che i genitori costituiscano per il nuovo nato un ambiente facilitante, in modo tale da rendere possibile l’adattamento, la maturazione e l’integrazione del piccolo in relazione ai suoi bisogni. Identificarsi con il bambino risulta fondamentale Nel corso delle settimane e...

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Affinché i processi di crescita dell’individuo possano attuarsi secondo il fisiologico sviluppo emozionale, è necessario che i genitori costituiscano per il nuovo nato un ambiente facilitante, in modo tale da rendere possibile l’adattamento, la maturazione e l’integrazione del piccolo in relazione ai suoi bisogni.

Identificarsi con il bambino risulta fondamentale

Nel corso delle settimane e dei mesi successivi alla nascita, è indispensabile che il papà e la mamma siano capaci di immedesimarsi con il loro bimbo, così da poter soddisfare le sue crescenti necessità.

Per crescere, «un individuo ha bisogno di fare esperienza della differenza, ossia di essere in grado di mettersi in rapporto, confrontarsi e imparare dall’altro, la non omologabilità delle funzioni del maschile e del femminile appare decisiva».

È necessaria la «compresenza di un“codice affettivo materno”,improntato alla cura, alla protezione e all’accoglienza incondizionata e di un “codice etico paterno”, espresso dalla responsabilità, dalla norma, dalla spinta emancipativa», fondamentali «per garantire un’equilibrata evoluzione dell’identità personale» «le differenze di genere e di generazione sono inscritte nella procreazione e sono metafora della vita psichica».

Solo allora ci si rende conto che «il figlio è sempre generato da due, e da due “diversi”, da un maschile e da un femminile, da due stirpi familiari, da due storie intergenerazionali e sociali.

La differenza (di genere, di stirpe, di storia) non solo consente la procreazione, ma permette anche che nel tempo il figlio diventi a propria volta generativo da più punti di vista».

Senza un’origine non c’è identità e l’origine«non può che riguardare sia una madre sia un padre».

La donna mette al mondo, ma non genera da sola: «perché il processo della nascita sia compiuto occorre spostarsi da un piano puramente biologico a uno simbolico-sociale che il riconoscimento paterno e l’assegnazione del “nome del padre” consente di introdurre».

Appare invece sempre più evidente che l’interazione triadica madre-padre-bambino è un’esperienza primaria ed è presente già nei primi mesi di vita.

Nei primi mesi di vita l’interazione diadica madre-bambino è caratterizzata da sincronia e coordinazione sociale. Tali caratteristiche rendono armoniosi gli scambi precoci tra il lattante e il genitore, tant’è che gli studiosi chiamano questa forma di comunicazione intersoggettività primaria (Trevarthen) o sintonizzazione affettiva (Daniel Stern). Si tratta di una comunicazione fondamentalmente affettiva o espressiva: la comunicazione ha per oggetto la diade stessa piuttosto che un oggetto o un argomento ad essa esterno.

Ciò che questa visione classica trascura è la possibilità che il lattante sia in grado di interagire precocemente con due persone e non soltanto con una. È invece ipotizzabile che nell’essere umano sia presente un’innata propensione ad interagire con due o più persone.

Questa competenza triangolare sarebbe parte integrante della motivazione sociale di base, piuttosto che costruita a partire dalla coordinazione triadica bambino-oggetto-persona. Le prove a favore di quest’ipotesi vanno rintracciate in tutti quegli episodi in cui il bambino di 3-4 mesi percepisce la relazione genitoriale e mostra una precoce abilità di regolazione con la diade genitoriale.

A questo punto bisogna anche precisare che un eventuale conflitto coniugale rischia di trasferirsi sulla relazione triadica. Diventa quindi importante analizzare le alleanze familiari, sia quelle funzionali, sia quelle problematiche, in quanto implicano diversi tipi di regolazione all’interno della triade.

Interazione madre-padre-figlio

Il gruppo di ricerca dell’Università di Losanna coordinato da Elizabeth Fivaz-Depeursinge ha ideato una procedura sperimentale per registrare e analizzare le interazioni triadiche precoci.

Da queste sono emerse tre episodi di interazione triadica.

1) Condividere il piacere del gioco (madre-bambino più padre)

Il bambino sta giocando con la madre. Entrambe a turno tamburellano sulla sedia. Il bambino guarda e vocalizza di piacere in direzione della madre. La madre ride.  Poi il bimbo si volge verso il padre e vocalizza di nuovo. Il padre, consapevole di non essere coinvolto attivamente nel gioco, non risponde. Il bambino appare sorpreso e continua a rivolgersi al padre. Il padre, dopo aver tentato senza successo di non coinvolgersi, guarda e sorride al bambino. Il bambino, soddisfatto, riprende a giocare nuovamente con la madre.

2) Segnalare la rabbia (madre-padre-bambino)

Il bambino appare frustrato dall’interazione con la madre e le si rivolge con un segnale di rabbia. Poi si rivolge al padre con lo stesso segnale, probabilmente sperando di essere aiutato da lui. Il padre si stringe nelle spalle con un sorriso, mostrando empatia ma scarsa volontà di interferire con ciò che sta facendo la madre. Il bambino si rende conto che deve negoziare la propria rabbia direttamente con la madre. (In quest’episodio il padre avrebbe potuto interferire con la madre o, al contrario, ignorare il segnale del bambino e addirittura biasimarlo).

3) Disconferma e biasimo  (padre-bambino più madre → madre-padre-bambino)

Tutti i bambini osservati nel gioco triadico hanno manifestato indicatori di coordinazione dell’attenzione e dell’affetto con entrambi i genitori in almeno una delle quattro configurazioni triadiche. In particolare, essi alternavano i momenti di contato visivo tra i genitori in modo più o meno equo, spostavano lo sguardo da un genitore all’altro rapidamente, così da indicare una coordinazione triangolare dell’attenzione, trasferivano segnali espressivi (sorriso, disagio, perplessità) da un genitore all’altro. Una coordinazione triangolare dell’affetto, questa, che prefigura le strategie triangolari presenti a nove mesi.

Possiamo qualificare queste strategie triangolari precoci come dirette, in quanto si realizzano attraverso l’azione anziché attraverso quei processi referenziali che caratterizzano l’intersoggettività a nove mesi.

L’attesa di un bimbo non è solo un vissuto materno, un rapporto a due tra il bambino e la sua mamma, vissuto in un intreccio di messaggi ormonali e relazionali. La figura del papà è in realtà molto più coinvolta di quello che si pensa e gioca un ruolo davvero importante. Non si parla più, infatti, di diade mamma-bambino, ma di triade mamma-papà-bambino.

Il papà è completamente partecipe all’esperienza della gravidanza e la sua relazione con il bimbo in utero è essenziale per il suo sviluppo psico-fisico-emozionale, e spesso può determinare anche il buon esito del parto.

È stato riscontrato che molti futuri papà, all’inizio della gravidanza, mostrano gli stessi sintomi della loro compagna incinta: nausea, vomito, sonnolenza, fragilità emotiva.
Questo perché nel papà “incinto” si risveglia una componente energetica, contenitiva e protettiva, volta ad esaltare la sua capacità di entrare in empatia con il figlio e la compagna, avviando un vero e proprio processo di “maternalizzazione”, dove le componenti femminili dell’affettività sono molto amplificate.

Questi cambiamenti emotivi sono causati e regolati da un ri-equilibrio ormonale che avviene nell’organismo paterno, esattamente parallelo a quello che succede nel corpo della mamma e che rende l’uomo concentrato sulla creazione del nido familiare.

Il bambino ha bisogno del padre già durante il periodo della gestazione, ha bisogno di sentirlo vicino per ricevere da lui quel nutrimento affettivo, emotivo, relazionale e intellettivo necessario alla sua crescita e alla sua maturazione: il suo apporto non può che essere di natura integrativa e complementare rispetto alla madre (Soldera 2000b). Il padre rappresenta quindi per il bambino l’ambiente non condiviso, dato che può avere con lui una specifica relazione, diversa da quella vissuta dalla madre.

Ad esempio, la voce del padre è molto interessante per il bambino, perché rispetto a quella della madre, che gli arriva sempre dallo stesso punto, gli arriva ogni volta da posizioni differenti. Il padre costituisce la punta più avanzata di ambiente non condiviso e grazie alla sua affinità genetica con il figlio è in grado di entrare, già durante la gravidanza, in un rapporto particolare di empatia, costruendo con lui una relazione intensa e profonda, capace di incidere sulla sua vita e favorire la sua apertura al mondo.

Negli ultimi decenni la figura del padre ha iniziato una radicale trasformazione: dall’estremo autoritarismo si sta cercando di passare all’autorevolezza. In passato i padri “dovevano” essere severi: il gioco e la creatività dei piccoli venivano così sacrificati in nome di una tradizione che negava loro affetto e comprensione, provocando spesso nei bambini un basso concetto di sé che li avrebbe accompagnati per tutta la vita. Negli ultimi tempi, invece, molti uomini hanno abbandonato il ruolo di padre distante e sono in grado di manifestare apertamente ai figli i loro sentimenti.

Allevano, amano, comprendono i loro bambini e si prendono la responsabilità di allevarli insieme alle compagne, senza volerne minare la posizione. Il merito è anche delle mamme, che hanno favorito in loro la consapevolezza che questa non è prerogativa del genere femminile, e che il papà può partecipare alla crescita e alla cura del bambino senza vedere messa in discussione la sua virilità.

La difficoltà dell’uomo nel partecipare totalmente a gravidanza, parto e nascita comunque non è solo una questione socioculturale.

In primo piano c’è il fatto di vivere la gravidanza “da spettatore”: il papà spesso diventa consapevole della sua nuova condizione solo quando il bambino è nato, la percezione emotiva della paternità è infatti legata alla possibilità di avere un’interazione con il proprio bambino.

Un’altra difficoltà per il padre è l’assenza di un modello paterno valido: l’uomo può così credere di dover costruire una relazione padre-figlio che si aggiunga/sostituisca a quella madre-figlio.

Al contrario, solo la triade madre-padre-figlio costituisce il modello familiare che accoglie al meglio i bisogni del bambino.

Ma diventare padre è il compito più impegnativo che un uomo possa svolgere.

Figli si nasce mentre genitori si diventa

Diventare padre significa, in un certo senso, fare posto al figlio, accettando che la coppia cambi, avviando così un percorso di maturazione personale.

Il passaggio a un’interpretazione più positiva del ruolo del padre e a una sua effettiva presenza e cura educativa avrà effetto sull’intera società, perché i figli cresceranno entro legami di affetto e di sicurezza, ma nello stesso tempo consapevoli dell’importanza della libertà e della responsabilità. D’altro canto, se la funzione genitoriale viene svolta in modo equilibrato il figlio si sentirà più sereno e libero di comunicare il suo mondo interno.

Affinché si stabilisca un rapporto tra padre e figlio sono necessarie due condizioni: un atteggiamento favorevole verso la relazione e la possibilità di comunicare.

Un papà entra in relazione con suo figlio se riesce a superare i suoi pregiudizi e comincia a considerarlo una persona, con un atteggiamento di piena accoglienza e accettazione. Dal canto suo, il piccolo riesce a esprimersi solo se riceve quegli stimoli e quell’amore di cui ha bisogno.

La comunicazione tra padre e figlio già in questa fase può essere definita “circolare”, perché inizia da una proposta (che può partire indifferentemente dall’uno o dall’altro), per poi tornare come controproposta.

Il padre può comunicare con il bambino attraverso il suono, il canto o la parola: abbiamo visto infatti che il nascituro riconosce la sua voce. Un interessante studio sul metodo della maternità cantata effettuato in famiglie di cantanti professionisti ha evidenziato che la madre, con voce da soprano, agisce principalmente sullo sviluppo degli arti superiori e della testa del nascituro; la voce da baritono del padre influenza invece la formazione e il consolidamento degli arti inferiori del corpo. In sintesi, i suoni più acuti risuonano in alto e quelli più gravi in basso.

Un’altra modalità di comunicazione che il papà può mettere in atto è quella tattile. Il piccolo infatti reagisce alle pressioni della mano sul pancione modificando la sua posizione. In questo modo padre e figlio iniziano a percepirsi e a dialogare intensamente, scambiandosi emozioni e informazioni molto profonde.

Questo tipo di comunicazione consente ai genitori di sentire precocemente i movimenti del bambino, che intesse da subito un contatto con loro.

Il padre poi può anche riuscire a instaurare una comunicazione di tipo empatico con il figlio, perché può cercarlo nella propria coscienza, per sentirlo e costruire con lui una comunicazione intima e profonda. Deve imparare a capire qual è lo stato emozionale del piccolo, capire se sta bene o male e se ha bisogno della sua presenza.

Essere padre è quindi un ruolo che gli uomini maturano crescendo.

La transizione verso la paternità è un momento di grande svolta nella vita di un uomo. Se l’uomo è disposto ad entrare in questo rapporto con i figli, diventa uno dei cambiamenti più grandi nella sua vita e nel suo sviluppo come persona.

Se la coppia vive una relazione forte, può sfruttare le differenze in modo complementare e rafforzarsi, aumentando le probabilità che sia la madre sia il padre possano diventare dei bravi genitori.

Brotherson, della North Dakota State University, prende in esame ciò che definisce “essere connessi” nel rapporto tra padre e figlio. Questo collegamento implica la costruzione, nel corso del tempo, di un legame che sia più del semplice amore che il genitore può avere per un figlio e che gli dia la percezione di questo amore e di questa accoglienza.
L’essere connessi si esplica nelle varie forme dell’amore verso l’altro e della fiducia e vicinanza che si sviluppa in tale relazione.

Citando diverse fonti scientifiche sulla famiglia, Brotherson spiega che più un figlio si sente “connesso” ai suoi genitori, più è portato a fidarsi anche degli altri e a instaurare rapporti sereni e stabili con i suoi coetanei e con gli adulti.
Ma come si può “essere connessi” ai propri figli? Brotherson raccomanda di giocare insieme ai figli e di aiutarli nel processo educativo. Essere disponibili a dare loro conforto e affetto nei momenti in cui ne hanno bisogno e condividere momenti spirituali pregando insieme.

I padri possono essere una guida

Un altro fattore è quello della disponibilità emotiva dei padri. Essere coinvolti nella vita del proprio figlio e rispondere ai bisogni emotivi è importante per un sano sviluppo dei bambini e degli adolescenti.

Il padre può esplicare la propria influenza morale in diversi modi: dal semplice mantenimento delle promesse fatte al figlio a quello di stabilire dei paletti per rendere chiaro quali comportamenti sono accettabili e quali non lo sono.
In questo senso, ferma restando l’importanza della quantità di tempo che il padre dedica ai figli, è altrettanto essenziale il modo in cui egli risponde alle loro esigenze e al loro comportamento. L’esempio personale che il padre dà ai figli e il suo insegnamento sul modo in cui comportarsi con gli altri sono ulteriori occasioni di educazione. In questo senso, i padri hanno molte possibilità per trasmettere valori ai propri figli e insegnare loro le conseguenze derivanti dalla responsabilità morale.

L'articolo Il ruolo dei genitori: come comportarsi con il nuovo arrivato? proviene da Elena Ferrari.

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